«Soldati, dall’alto di queste piramidi quaranta secoli vi guardano»
Napoleone ai soldati dell’Armata d’Oriente, 21 luglio 1798
La Storia vestita da romanzo
Il 25 settembre 1805, la giovane *Grande Armée* aveva attraversato il Reno tra Mannheim e Strasburgo diretta verso il Danubio. Nel giro di poco più di un anno aveva ridisegnato le carte d’Europa, tracciando il nuovo confine orientale di Francia a oltre cinquecentosessanta chilometri dal precedente. Alla testa di quattro corpi d’armata, Napoleone aveva ammansito il governo austriaco, sbaragliato la potenza militare della Santa Russia e, ora, si accingeva a distruggere in un sol giorno di battaglia la leggenda dell’invincibilità prussiana. All’alba del 14 ottobre 1806, una coltre di nebbia avvolgeva Jena. Ricordava quella che quasi un anno prima aveva offuscato il campo di battaglia di Austerlitz, e sembrava presagire l’esito del nuovo scontro. Dalla «battaglia dei tre imperatori» Napoleone era uscito vincente, e come era accaduto ad Austria e Russia, la Prussia di Federico Guglielmo III sarebbe stata annientata.
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Il 9 marzo 1661, all’alba, moriva Giulio Mazzarino. Reggente del monarca infante Luigi XIV, il cardinale era stato il più ricco e potente uomo della Francia del suo tempo. Acuto nella politica, abile nelle relazioni, spregiudicato negli affari, era stato in grado da straniero di bassa estrazione sociale di raggiungere le vette del potere e conservarlo negli anni burrascosi della Fronda, orchestrando la politica europea al fianco della regina madre Anna d’Austria. Nel tempo aveva accumulato una straordinaria fortuna, conducendo nei suoi palazzi una vita principesca e decisamente più lussuosa di quella del re, di cui peraltro si era preoccupato di allungare l’infanzia quanto più possibile, dedicando giusto i suoi ultimi anni alla formazione del futuro monarca e gestendo personalmente il potere sino alla morte. Minacciato delle rivolte, Sua Eminenza aveva temuto profondamente di essere annientato, politicamente e fisicamente.
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Con i «se» e con i «ma»
Il nazionalsocialismo fu un fenomeno sociale imponente che coinvolse milioni di persone e strutturò un intero sistema istituzionale. E no, la sua genesi e la sua evoluzione non possono essere ridotte all’operato di una sola persona. Eppure è innegabile che nella concretizzazione della violenta ideologia nazionalista e razzista che dilagò nella Germania degli anni Trenta, Hitler ebbe un ruolo centrale. Tutti o quasi nel mondo conoscono il suo nome. E tutti o quasi - e con ottime ragioni - disprezzano le indelebili, dolorose pagine che ha scritto della Storia. La ferocia della sua politica e la fredda lucidità con cui ha progettato, realizzato e azionato una delle più infernali macchine di morte della Storia rendono più che difficile, si può dire impossibile, intercettare in lui delle tracce di umanità: degli affetti sinceri, dei desideri profondi, delle aspirazioni genuine e delle delusioni amare. E invece, esistono. Non cancellano i suoi crimini, non giustificano le sue azioni, non alleviano le sue colpe. Niente di tutto questo. Eppure, esistono.
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Pio XI è passato alla Storia come il papa che intrattenne ottimi rapporti con il fascismo e per certi versi fu realmente così, in particolare durante il primo decennio del governo Mussolini. Dal canto suo, il Duce viene ricordato come un fervente cattolico, e questa volta no, non lo era realmente. [...] Papa Ratti era un conservatore, profondamente avverso alla modernità e al progresso, e inizialmente vide nel fascismo l’opportunità di riportare la società ai valori tradizionali, arrivando a definire Mussolini l’«uomo della Provvidenza». [...] La rottura – ideologica, si intende – tra Chiesa e Stato si consumò con l’avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista. [...] Il papa era molto preoccupato dalla nascente «religione laica» nazista che si stava diffondendo nel cuore dell’Europa, fatta di riti, simbologie, parate e deificazioni del Fuhrer in aperta rottura con la religiosità cristiana.
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L’OVRA doveva «sapere tutto di tutti», e suscita una certa impressione constatare quanto fosse in grado di portare eccellentemente a termine questo compito. Le sue spie avevano un preciso incarico: scoprire i segreti, e lo facevano pedinando, osservando, ascoltando le loro vittime, e quando opportuno estorcendo informazioni con torture e minacce. Venivano assoldate sempre nuove spie, e non necessariamente con le buone maniere, così da espandere progressivamente la struttura dell’organizzazione e raggiungere una copertura capillare, pressoché totale, di controllo del territorio nazionale. Tra i tanti dossier di fuoco a finire nelle mani del Duce spiccava senza dubbio quello sul giovane Umberto di Savoia, figlio del re Vittorio Emanuele e nientemeno che erede al trono, in cui erano state raccolte lettere e poesie autografe, testimonianze, verbali di interrogatori e svariati documenti atti a «comprovarne l’invertimento sessuale».
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È curioso constatare che, se non la totalità, quantomeno la componente prevalente delle organizzazioni mafiose si percepisca e presenti come cattolica devota, creda in Dio, si senta parte della comunità cristiana. Seppur esistano delle eccezioni e una certa variabilità d’intensità del fenomeno, si può sostenere che, in un’appariscente soluzione di continuità decennale, la maggior parte degli affiliati abbiano manifestato e continuino a manifestare un profondo legame con la religione. Esiste un certo interesse sociale alla base dell’ostentazione devozionale di cui consapevolmente le mafie si sono servite e si servono per garantirsi un’ampia base di consenso nella comunità e un bacino di reclutamento di nuovi affiliati, ma il fenomeno non si esaurisce a questo aspetto strumentale.
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Un aspetto di similarità che accomuna brigantaggio e mafiosità, accentuandone i tratti di stimabilità e popolarità, è riscontrabile nelle manifestazioni di devozione cattolica che in entrambi i fenomeni appaiono decisamente marcate e che presentano delle significative somiglianze. Nelle bande brigantesche ricorrevano abitudini religiose fortemente condizionanti la quotidianità e gli eventi fondamentali della vita degli associati, e alcune di queste presentano delle sorprendenti affinità con quelle tutt’ora messe in atto nelle mafie. [...] La devozione dei briganti era talmente intensa che non solo si rivelava con evidenza anche agli osservatori esterni, ma addirittura finiva per qualificarsi quale tratto distintivo dei gruppo. I viaggiatori stranieri che nel corso del Settecento e dell’Ottocento visitarono il Mezzogiorno, riferirono con un certo scandalo la venerazione che i briganti dimostravano nei confronti della Madonna.
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Enrico IV (1594-1610) è primo sovrano della dinastia Borbone in Francia. Avvia un processo di centralizzazione del potere monarchico e con l’Editto di Nantes (1598) mitiga il contrasto tra cattolici e ugonotti; in politica estera persegue una linea nettamente anti-asburgica. Il successore Luigi XIII sale al trono ad appena nove anni; la madre e reggente Maria de' Medici affida la gestione del regno al cardinal Richelieu, che mantiene il potere di fatto fino alla morte. Il cardinale intensifica il processo di accentramento monarchico, conducendo una ferma politica anti-nobiliare e anti-ugonotta e contrastando periodiche ondate di rivolte popolari. In linea con la postura anti-asburgica del predecessore, si schiera al fianco dei protestanti nella guerra dei Trent’anni.
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I Longobardi invadono l’Italia nel 569 e in qualche anno conquistano il Settentrione e la Toscana. Il loro regno è attraversato dal perenne scontro con i Bizantini, che tentano di recuperare i territori della penisola. Le incursioni longobarde sono particolarmente violente: le popolazioni autoctone, se non vengono del tutto ridotte in schiavitù, sono tendenzialmente costrette a omologarsi ai conquistatori, nei costumi e nel diritto. A livello amministrativo non si realizza alcuna forma di collaborazione con la classe dirigente latina, spazzata via dall'aristocrazia guerriera. L’arrivo dei Longobardi in Italia segna una svolta decisa e definitiva nella storia della penisola, che dopo secoli all’insegna dell’unità sotto un’unica organizzazione statale si ritrova frammentata, e così resterà fino al XIX secolo.
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