Una lunga storia: la devozione religiosa delle bande brigantesche sette-ottocentesche

Una lunga storia: la devozione religiosa delle bande brigantesche sette-ottocentesche

Se occorre sin da subito precisare che non sussiste un rapporto di filiazione tra brigantaggio e mafie, fenomeni distinti politicamente, storicamente e geograficamente1, può essere comunque interessante prendere in analisi alcuni aspetti di contatto tra le due manifestazioni di criminalità e soffermarsi in modo particolare sul comune tratto di accentuata devozione religiosa. Il brigantaggio calabrese fu un fenomeno di massa che si inasprì agli albori dell’Ottocento e riaffiorò con forza nella seconda metà del secolo. Diversamente, il brigantaggio siciliano, che si sviluppò tardivamente, quando in altre aree il problema era in declino se non scomparso, fu un fenomeno meno compatto, che vide l’azione di singole bande costituite da piccoli gruppi. Mentre i briganti siciliani ebbero legami con la mafia, quelli calabresi nulla ebbero a che vedere con la ‘ndrangheta2, ma in entrambi i casi si intrattennero costanti rapporti con i latifondisti, e proprio negli intrecci con le classi dirigenti si individua la più rilevante affinità tra mafie e brigantaggio3.

Se i due fenomeni furono spesso confusi, fu anche perché gli apparati mitologici e leggendari mafiosi, sia siciliano che calabrese, aspirarono alla nobilitazione delle origini delle organizzazioni affondandone le ascendenze nei briganti4, di cui l’opinione pubblica aveva sempre avuto una visione romantica quanto distorta. In questo senso aveva avuto un ruolo importante il «mito del brigante buono» creato dalla letteratura, che aveva dipinto le valorose gesta di uomini virtuosi e ribelli, difensori dei deboli e vendicatori delle ingiustizie:

C’era quasi una gara ad aiutarli, e accadeva che l’aura di leggenda che circondava le loro imprese non diminuisse neanche quando essi erano «al servizio dei poteri “forti” e dei ceti privilegiati». E ciò perché […] continuavano a incarnare sin dall’origine la solitaria figura di «un diseredato che aveva osato una personale ribellione»5.

Un aspetto di similarità che accomuna brigantaggio e mafiosità, accentuandone i tratti di stimabilità e popolarità, è riscontrabile nelle manifestazioni di devozione cattolica che in entrambi i fenomeni appaiono decisamente marcate e che presentano delle significative somiglianze. Nelle bande brigantesche ricorrevano abitudini religiose fortemente condizionanti la quotidianità e gli eventi fondamentali della vita degli associati, e alcune di queste presentano delle sorprendenti affinità con quelle tutt’ora messe in atto nelle mafie. Erano diffuse pratiche di preghiera quotidiana: la recita del Santo Rosario, individualmente o anche in gruppo con l’intonazione dell’Ave Maria da parte del capobanda; la partecipazione alla Messa, di cui talvolta i briganti richiedevano la celebrazione nelle proprie cappelle private dietro pagamento; il dialogo con i consacrati e la confessione per cercare conforto spirituale. Anche i briganti manifestavano la propria devozione a livello corporeo o mediante il possesso di oggetti sacri: praticamente tutti indossavano scapolari al collo ed era diffusissima l’abitudine di portare con sé immaginette sacre in carta. Non mancavano poi di mettere in atto pratiche superstiziose, come non mangiare carne in segno di devozione alla Madonna, ed erano soliti invocare la protezione della propria integrità fisica alla divinità prima o durante un’azione pericolosa, indossando degli amuleti sacri o tenendo in bocca un’immagine sacra, o talvolta mediante riti particolari come quello che prevedeva di inserire in un taglio sul pollice l’ostia consacrata e consegnata da un sacerdote. Tra le più importanti occasioni in cui manifestavano la propria devozione si considerano senz’altro i maestosi cortei funebri e le sentite commemorazioni dei defunti, in un oscillante equilibrio tra il timore della morte e la fiducia nell’esistenza dell’aldilà6.

Come più volte riscontrato negli affiliati alle mafie, anche gli appartenenti alle bande brigantesche si percepivano come – in un certo senso – investiti da Dio, committente delle loro missioni, vivendo la propria quotidianità violenta in una logica di solenne sacralità, di divina predestinazione, che legittimava e giustificava il loro operato al di fuori delle regole: «il brigante si sentiva […] un privilegiato di Dio, un protetto della Madonna, a tal punto che poteva permettersi anche di entrare in chiesa con il suo cavallo»7. Questa percezione si rifletteva anche nei solenni giuramenti che i membri delle bande pronunciavano (pratica che, nuovamente, richiama alla mente le consuetudini mafiose, nello specifico quella di giuramento in occasione dell’affiliazione o del conferimento di una carica), consacrandosi a Dio, al papa e al re con una «dichiarazione che impastava insieme “sangue”, “onore” e “fedeltà”»8 e che sanciva un’appartenenza indissolubile, se non con la morte, alla banda.

La devozione dei briganti era talmente intensa che non solo si rivelava con evidenza anche agli osservatori esterni, ma addirittura finiva per qualificarsi quale tratto distintivo dei gruppo. I viaggiatori stranieri che nel corso del Settecento e dell’Ottocento visitarono il Mezzogiorno, riferirono con un certo scandalo la venerazione che i briganti dimostravano nei confronti della Madonna. Furono in particolare i viaggiatori protestanti a sollevare la questione, contestando la passività del clero che sembrava accettare pacificamente la commistione ideologica di religiosità e criminalità che ne risultava9. Così, nell’Italia e ancor più nell’Europa del Nord, si finì per considerare il brigantaggio una problematica esclusiva delle regioni cattoliche, in particolare delle regioni del Sud dell’Italia, in contrapposizione alla moralità etica del «cattolicesimo del Nord» e ancor più del protestantesimo. La polemica anticattolica, portata avanti non solo dall’area protestante ma anche da quelle illuminista, positivista e socialista, questionava la compatibilità tra il culto mariano e il comportamento brigantesco e, stigmatizzando questa tendenza interpretativa che finiva per associare indissolubilmente Meridione, cattolicesimo e brigantaggio, Giuseppe De Luca avrebbe affermato:

I briganti, si disse, erano dei gran devoti della Madonna. Gli onesti, invece, per lo meno erano protestanti.10

È possibile che i rapporti realmente intercorsi tra i briganti e il clero nella comune avversione allo Stato unitario, lo «Stato usurpatore», abbiano contribuito a consolidare questo sentire comune e la devozione dei briganti, che combattevano anche «per la fede e la santa causa del papa»11, da cui ricevevano peraltro la consacrazione e la garanzia di non peccare12. Furono persino affissi sui muri di varie città dei manifesti che asserivano: «i briganti sono benedetti dal papa, ed ogni qualvolta si battono si attaccano al nome di Dio, e vinceranno»13. La questione arrivò anche a essere discussa in Parlamento nei primi anni a seguito dell’unificazione: nella Relazione della commissione d’inchiesta del Deputato Massari, letta alla Camera nel maggio 1863, si faceva esplicito riferimento alla «responsabilità pontificia» nella perorazione della causa del brigantaggio e si accusava il papa di aver «tentato il sacrilegio d’innalzare il masnadiere bruttato d’infamie e di sangue alla dignità del martire»14.

A rinforzare la percezione dell’alleanza tra Chiesa e briganti furono anche le dimostrazioni brigantesche di religiosità, piuttosto esuberanti, che intrecciavano «devozione mariana, culto dei santi e dei loca di apparizioni e miracoli, venerazione di reliquie, processioni, pellegrinaggi, culto dei morti e varie altre manifestazioni»15. Le vivaci espressioni devozionali brigantesche entrarono a far parte dell’immaginario collettivo e, oltre alla letteratura, anche il cinema contribuì a rinforzare nella cultura popolare l’ideale del brigante religioso. Mario Monicelli ne fece una rappresentazione caricaturale, scegliendo di mettere in scena, nel suo celebre film Il marchese del Grillo16, lo stravagante don Bastiano, che conciliava bizzarramente il suo ruolo di brigante capobanda con un’espressività linguistica e gestuale intrisa di rimandi al sacro. Così si rivolgeva a un capitano francese in piena età napoleonica:

Lo vedi quest’albero dietro alle mie spalle? Te sei stato fortunato che ti ho trovato che stavi in compagnia del signor marchese, perché se no io a te, se ti pigliavo da solo, ti sistemavo: ti schiaffavo quattro chiodi e ti mettevo in croce qua sopra, così ti imparavi a rispettare Dio, la Madonna e i santi! E fatevi il nome del Padre [nda segue un’imprecazione]!

A questo punto, don Bastiano raccontava di essere diventato brigante per «lavare l’onore della sorella», richiamando un altro tipico aspetto che contraddistingue ideologicamente il fenomeno del brigantaggio e, si vedrà, anche quello mafioso, nei comuni propositi di difesa della tradizione, tutela dei precetti cattolici e riparazione delle ingiustizie:

Ho fatto tutto a fin di bene, a gloria del signore! Oh! Oh! Allora! Segnatevi! E, nuovamente, tutti i presenti si facevano il segno della croce.

Footnotes

  1. E. Ciconte, Storia criminale: la resistibile ascesa di mafia, ’ndrangheta e camorra dall’Ottocento ai giorni nostri, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 74.

  2. Ivi, pp. 77–78.

  3. Ivi, p. 74.

  4. Ivi, p. 78.

  5. Ivi, p. 27.

  6. G. Liccardo, Chiesa e briganti tra politica reazionaria e fede superstiziosa, in «Brigante in terra nostra», Stampa Borrelli, San Giorgio del Sannio, 2000, pp. 6–7.

  7. Ivi, p. 7.

  8. Ivi, pp. 7–8.

  9. I. Sales, I preti e i mafiosi: storia dei rapporti tra mafie e Chiesa cattolica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2016, p. 121.

  10. G. De Luca, La Madonna e i briganti, in «Scritti sulla Madonna», Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1972, p. 83.

  11. G. Liccardo, op.cit., p. 2.

  12. Ibidem.

  13. Ibidem.

  14. Ivi, p. 1.

  15. Ivi, p. 4.

  16. M. Monicelli, Il marchese del Grillo, Opera Film Produzione, 1981.