Una penisola frammentata: l'arrivo dei Longobardi in Italia
Chi sono i Longobardi?
Tra i popoli germanici che varcano i confini dell’Impero d’Occidente c’è quello longobardo, originario della Scandinavia e, data la sua natura semi-nomade, migrato più volte fino a stanziarsi più stabilmente in Pannonia (collocata nell’attuale territorio ungherese) nei primi decenni del VI secolo.
Come del resto gli altri popoli barbari, i Longobardi non dispongono di una vera e propria organizzazione statale:
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alla base del diritto non vi sono leggi scritte ma solo consuetudini trasmesse oralmente tra generazioni;
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esiste la figura del re, ma questo viene eletto solo in caso di necessità e il suo potere è molto limitato;
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non esistono i tribunali e ciascuno regola da sé i propri conti attraverso la faida, ovvero il diritto di chi subisce un torto di rispondere con la vendetta contro il colpevole e famiglia.
La struttura sociale longobarda è semplice, organizzata in:
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schiavi, al livello più basso della gerarchia;
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uomini semi-liberi detti aldi, che dispongono di diritti limitati ma sono sottoposti all’autorità di un padrone;
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arimanni, gli uomini liberi, organizzati in famiglie discendenti da un antenato comune, dette fare;
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duchi, che emergono tra gli arimanni nei primi decenni del VI secolo, costituendo un’aristocrazia di capi militari.
Consideriamo infine l’aspetto religioso, che si ricorda essere cruciale nel processo di integrazione con le popolazioni latine, tanto da poter essere considerato uno dei principali fattori di forza o fragilità di un regno romano-barbarico (quello dei Franchi, per esempio, si rivela il più stabile e duraturo proprio per la scelta di conversione al cattolicesimo del re e di tutto il popolo, che permette una buona integrazione con le popolazioni residenti e di conseguenza una certa stabilità sociale e politica). Il paganesimo contraddistingue la maggior parte dei Longobardi, anche se una crescente porzione di individui aderisce al cristianesimo ariano.
L’invasione d’Italia
A loro volta minacciati dall’incursione degli Avari, i Longobardi invadono l’Italia nel 569 sotto la guida del re Alboino. La penisola è ormai una provincia dell’Impero bizantino, duramente provata dalla ventennale guerra greco-gotica con cui Giustiniano l’ha «liberata» dagli Ostrogoti una quindicina di anni prima. Lo stesso Impero d’Oriente, duramente provato dal conflitto, non dispone delle risorse per difenderla e così nel giro di pochi anni i Longobardi conquistano l’intera Italia settentrionale e la Toscana, fondando il loro regno con capitale Pavia. A breve fondano in Campania e Umbria anche i ducati di Benevento e Spoleto.
L’arrivo dei Longobardi in Italia segna una svolta decisa e definitiva nella storia della penisola, che dopo secoli all’insegna dell’unità sotto un’unica organizzazione statale si ritrova ad essere spartita tra Longobardi e Bizantini. La sua frammentazione territoriale e politica verrà superata solo con le guerre risorgimentali del XIX secolo. La geografia della penisola muta: molte città italiane scompaiono e ne sorgono di nuove; tra le più importanti, Venezia.
La fragile o pressoché inesistente coesione statale dei Longobardi e la mancata cooperazione tra le loro forze militari sottoposte all’autorità dei singoli duchi, che agiscono in modo indipendente gli uni dagli altri e di fatto per loro personale iniziativa occupano i vari territori, consente ai Bizantini di difendere almeno le zone costiere, una striscia di territorio attraverso gli Appennini con centro a Perugia che collega le aree tirreniche e quelle adriatiche, il Lazio, il Meridione, e le isole. Tutto il regno longobardo è attraversato dal perenne scontro con i Bizantini e i due avversari si alternano in vittorie e sconfitte strappandosi vicendevolmente territori.
Nel 572 la moglie di Alboino, Rosamunda, ordisce una congiura contro di lui e il re viene assassinato e sostituito da Clefi, destinato alla stessa sorte del predecessore un paio di anni dopo. Si crea un vuoto di potere che avvia un decennio di anarchia, di cui i Bizantini approfittano per sottrarre ai Longobardi aree emiliane e lombarde. I duchi si rendono consapevoli dell’importanza di cooperare nella guerra ed eleggono un sovrano, re Autari (584-590).
Punti di rottura e punti di contatto
Le incursioni dei longobardi sono particolarmente violente: saccheggi e uccisioni si susseguono senza sosta e costringono i latini a cercare rifugio verso Oriente. Le popolazioni autoctone, se non vengono del tutto ridotte in schiavitù, sono tendenzialmente costrette a omologarsi ai conquistatori, nei costumi e nel diritto. In città e campagne sopravvivono gruppi di latini liberi e ricchi, che assumono nomi di origine germanica e si adeguano alle consuetudini barbare.
Diversamente rispetto ad altri popoli di barbari, quello longobardo non è poi mai entrato in contatto con il mondo romano e questo si riflette sulle strutture sociali, che dall’invasione longobarda (a differenza di quella ostrogota) ne escono totalmente stravolte. Scompare l’aristocrazia latina colta che ha gestito l’amministrazione anche durante i regni di Odoacre e Teodorico e viene soppiantata dall’aristocrazia guerriera, ampiamente distante dalla tradizione governativa romana. Paradossalmente, il protrarsi della guerra tra Longobardi e Bizantini stravolge anche l’amministrazione in Oriente, dal momento che la classe dirigente, assorbita dagli impegni militari, è costretta a trascurare i tradizionali compiti amministrativi.
Il confronto tra Longobardi e italici crea una civiltà nuova in cui ciascuno dei due popoli assimila tratti dell’altro. È importante ricordare che il popolo longobardo:
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si converte al cattolicesimo grazie alla collaborazione della regina cattolica Teodolinda (moglie di re Autari e in seguito di Agilulfo) con papa Gregorio Magno; l’evangelizzazione incontra aspre resistenze che vengono però sedate;
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adotta la scrittura e la lingua latina, ponendo le basi per una gestione amministrativa più moderna (per il cui funzionamento l’alfabetizzazione è una premessa imprescindibile);
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l’alfabetizzazione e i progressi amministrativi favoriscono l’assimilazione di un concezione più «romana» di gestione statale; il sovrano diviene una figura stabile (e non eletta solo in caso di bisogno come fino ad allora) e la continuità della sua autorità favorisce l’evoluzione dell’ordinamento; nel 584 viene eletto re Autari e riceve delle terre in dono dai duchi; si tratta del primo demanio regio, che garantisce al sovrano le risorse economiche necessarie per far valere la propria autorità; la gestione di questa proprietà viene affidata a funzionari regi detti gastaldi.