L'Italia contesa: il braccio di ferro tra Longobardi e Impero d'Oriente
I domini bizantini tra esarcato, ducati e autonomie
Tutto il regno longobardo è attraversato dal conflitto con l’Impero d’Oriente, di cui la penisola è una provincia dalla fine della guerra greco-gotica (conclusasi una quindicina di anni prima). Se i Longobardi conquistano tutta l’Italia settentrionale e la Toscana nel giro di tre anni, diversi territori, tra cui le aree costiere, il Lazio e le isole, rimangono invece sotto il dominio bizantino, anche se la spartizione territoriale viene costantemente ridefinita dalle continue guerre. Il governo dei possedimenti bizantini viene affitato a funzionari fedeli all’imperatore:
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le aree bizantine della penisola vengono sottoposte all’autorità dell’esarca, un alto funzionario a cui l’imperatore delega il potere civile e militare, che stabilisce la propria sede a Ravenna (città collegata a Costantinopoli grazie al porto e facile da difendere perché protetta dalle paludi circostanti);
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i territori rimanenti vengono organizzati in ducati e affidati ai duchi, funzionari a loro volta sottoposti all’esarca.
Di fatto, però, il legame con la corte bizantina si allenta rapidamente. Se da un lato la comunicazione tra esarca e imperatore si rivela difficoltosa, dall’altro quest’ultimo, assorbito dall’impegno sul fronte orientale nel contrasto all’espansionismo arabo, smette di sostenere militarmente la difesa dai Longobardi.
Così gli stessi abitanti della penisola si ritrovano soli nel contrasto all’invasione. Naturalmente questo favorisce l’organizzazione di governi autonomi che si sottraggono alla tutela dell’Impero, e in Campania e Veneto sorgono centri indipendenti in cui il duca viene esautorato e sono i notabili locali ad assumere il potere.
I contrasti religiosi: tra iconoclastia e ribellioni
La distanza tra la penisola e l’impero viene accentuata dall’insorgenza di rinnovati contrasti religiosi. Infatti, se la tradizione orientale accetta che l’imperatore eserciti una significativa influenza sulle questioni ecclesiastiche (cesaropapismo), l’Occidente rifiuta categoricamente all’imperatore questa facoltà, riservata all’autorità del clero. Così, Cinque e Seicento sono attraversati dal contrasto tra imperatore bizantino e vescovi italiani; le dispute teologiche sono accese e non mancano ordini di arresto rivolti agli stessi papi.
Le crescenti istanze autonomistiche del ducato di Roma nei confronti della corte d’Oriente gettano le basi per l’edificazione dello Stato della Chiesa. Si tratta di un lungo processo, per nulla casuale ma scientemente perseguito dai pontefici, che si avvia con l’invasione longobarda e si può considerare compiuto verso la metà del Settecento:
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gli ampi possedimenti del pontefice nel Lazio, il «Patrimonio di San Pietro», gli garantiscono ingenti risorse oltre che economiche, anche militari e politiche;
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si viene così a creare uno stretto legame tra il papato e l’aristocrazia romana, che in cambio dell’autorità sui territori, ne assicura la difesa;
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l’influenza garantita dalla ricchezza e dagli uomini in armi al suo servizio, aprono al vescovo di Roma un crescente spazio di intervento nell’amministrazione del ducato, che lentamente, ma progressivamente e definitivamente, si trasforma nel dominio temporale sull’intero Lazio.
La tensione che si crea tra le autorità religiose d’Occidente e l’imperatore bizantino, che si contendono il primato nelle questioni ecclesiastiche con tutte le implicazioni politiche che ne derivano, porta l’imperatore Leone III a decretare l’iconoclastia, ovvero l’obbligo di distruggere le icone sacre e tutte le illustrazioni di Dio, la Madonna e i santi. Questo provvedimento è giustificato oltre che da ragioni religiose (la venerazione delle icone è tale da ricordare l’idolatria pagana), soprattutto da ragioni politiche: i fedeli in pellegrinaggio per ammirare le icone arricchiscono i monasteri dove sono esposte, accrescendo di conseguenza anche l’influenza politica del clero.
La Chiesa d’Occidente accende una sentita opposizione nei confronti dell’iconoclastia, che lo stesso papa dichiara essere un provvedimento eretico; la risposta imperiale non si fa attendere e Leone III tenta di imporre la distruzione delle icone con la forza. Il sentimento di insofferenza nei confronti della dominazione bizantina che da tempo serpeggia nella penisola esplode in violente ribellioni; solo le isole si mantengono fedeli all’imperatore, non potendo mettere a repentaglio la protezione militare bizantina difronte alla perenne minaccia araba.
I Longobardi non possono non approfittare della fragilità del dominio bizantino sulla penisola per tentare imprese espansionistiche, e così gli eserciti del re Liutprando conquistano diversi territori in Emilia e nelle Marche e occupano il castello di Sutri.
La minaccia longobarda induce il papa a stemperare immediatamente la tensione con l’Impero bizantino; nel 728 Sutri viene restituita al papato con l’atto conosciuto come «donazione di Sutri»; l’evento passa impropriamente alla Storia come atto fondativo dello Stato della Chiesa (il cui processo fondativo è invece in realtà lento e durevole).