L'Italia del Seicento

L'Italia del Seicento

Società, politica ed economia

La penisola non vede organizzazioni statali solide e moderne; i poteri legislativo ed esecutivo sono frammentati tra diversi soggetti politici che condividono la sovranità. Accenni di centralizzazione del potere si osservano nel Ducato di Savoia, nello Stato della Chiesa e in Toscana, dove vengono gettate timide basi di monarchie assolute. In ogni stato della penisola sono i nobili i grandi protagonisti della politica, questo tende a rallentare lo slancio imprenditoriale e a mantenere dinamiche sociali di stampo feudale.

Nell’area centro-settentrionale della penisola si osservano passi avanti nell’uso delle tecnologie e manifattura e commercio sono le attività di punta dell’economia con la produzione di beni di lusso quali gioielli, lana, seta, armi e orologi, anche se presto le merci a basso costo di produzione inglese e olandese tenderanno a soffiare il mercato a quelle italiane. Infatti, lentamente il Mediterraneo cessa di essere il centro dei commerci del mondo. Sono le compagnie dell’Europa del Nord, con le loro navi più veloci e i loro equipaggiamenti meno costosi, a soffiare il monopolio commerciale agli italiani (e nello specifico ai veneziani).

L’area meridionale si distingue per maggiore arretratezza; continua ad essere prevalentemente dedicata allo sfruttamento agricolo intensivo di cereali, con immense distese di terreni gestiti dai latifondisti aristocratici; la produzione è destinata all’esportazione.

Egemonia spagnola

Dalla metà del Cinquecento al primo decennio del Settecento, la Spagna esercita la propria egemonia sull’intera penisola italiana. Sono domini spagnoli propriamente detti il Ducato di Milano (sottoposto a un governatore spagnolo), il litorale toscano e le isole, e i regni di Napoli, Sicilia e Sardegna (governati da viceré spagnoli). Ma forte influenza spagnola viene grossomodo esercitata anche sul resto della penisola e in particolare sullo Stato della Chiesa, coordinato con gli Asburgo nel contrasto al luteranesimo; la stessa elezione papale ha luogo sotto la stretta supervisione della Spagna.

La penisola vive il privilegio di essere meno coinvolta nella guerra dei Trent’anni, nonostante questa contribuisca al forte inasprimento della pressione fiscale in particolare nei territori controllati direttamente dalla Spagna. Questo determina disordini sociali diffusi e rivolte, in particolare nei domini del Meridione, che si protraggono per oltre un paio di decenni dalla fine del grande conflitto.

L’insurrezione più rilevante si verifica a Napoli (1647-1648). Guidata da Masaniello, la rivolta infiamma per protestare contro le pesanti tasse imposte sul regno e in particolare chiede che venga abolita la gabella sulla frutta. Presto le rivendicazioni assumono carattere prettamente politico e viene instaurata la Repubblica, presto rovesciata grazie alla collaborazione dell’aristocrazia napoletana con la corona spagnola. La rivolta viene soffocata nel sangue.

La guerra dell’Interdetto

Nel contesto di generale sottomissione degli stati italiani alla Spagna, un paio di realtà politiche della penisola si distinguono per un buon livello di autonomia e una discreta indipendenza in politica estera:

  • lo Stato della Chiesa, che oltre a essere uno stato temporale (ha i propri confini, le proprie leggi, la propria amministrazione, il proprio esercito) particolarmente potente, tanto da poter essere annoverato tra le più importanti realtà politiche a livello mondiale, è anche una monarchia spirituale universale (esercita la propria giurisdizione su tutto il mondo cattolico);

  • Venezia, antica e autorevole repubblica oltre che potenza commerciale egemone; che mantiene rapporti non solo con il resto dell’Europa anche protestante ma persino con gli stati islamici.

Le due realtà non possono che rischiare di entrare in contrasto, e l’occasione si verifica nel 1606, quando il Consiglio veneziano dei Dieci ordina l’arresto di due ecclesiastici veneti, non riconoscendo dunque il clero come «corpo sociale a sé», sottoposto a una propria legislazione e ai propri tribunali e dunque esente dalla giurisdizione dello Stato, come preteso dalla Chiesa. L’intenzione della Serenissima di esercitare pienamente i propri diritti di Stato sovrano provoca la reazione di papa Paolo V, che emette la pena dell’interdetto, forma di scomunica collettiva che taglia fuori Venezia dalla Chiesa e vieta la celebrazione dei sacramenti nei suoi territori.

Segue un conflitto dottrinale che suscita l’interesse di tutto il mondo religioso europeo; gli intellettuali delle due fazioni si fronteggiano a suon di pamphlet, scritture e dibattiti. Le potenze del continente si allineano in due schieramenti contrapposti, che vedono in particolare l’Inghilterra parteggiare per la Serenissima e la Spagna per il papato. La tensione rimane altissima e il timore di un vero e proprio conflitto è molto presente. La situazione si stempera grazie all’intervento mediatore della Francia di Enrico IV, con cui si giunge a un compromesso. Tuttavia la sovrapposizione di due poteri, quello statale e quello papale, continuerà a essere per lunghissimo tempo un elemento di potenziale crisi nei vari territori cattolici.