Gli Stuart in Inghilterra: Giacomo I e Carlo I
Giacomo I
Nel 1603, la regina di Inghilterra e Irlanda Elisabetta I Tudor muore senza un erede. È Giacomo I Stuart, re di Scozia, a succederle al trono, riunificando le corone dei tre paesi, che però si mantengono distinti in materia legislativa e amministrativa, oltre ad avere parlamenti diversi. Fermo sostenitore del diritto divino del re, come la madre Maria Stuart, Giacomo I apre con le sue tendenze assolutistiche i contrasti con il Parlamento, gettando le basi per la futura guerra civile.
Il suo regno è attraversato da rilevanti contrasti religiosi tra:
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cattolici della Chiesa ufficiale anglicana con a capo il sovrano (si ricordi lo scisma anglicano; nel 1534 il re inglese Enrico VIII Tudor ha emanato l’Editto di autonomia con cui ha reso la Chiesa del regno indipendente da quella di Roma e l’ha sottoposta direttamente sotto il proprio controllo);
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cattolici fedeli alla Chiesa di Roma (per lo più membri dell’aristocrazia);
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protestanti calvinisti;
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protestanti puritani (il puritanesimo è il movimento religioso che aspira al recupero dell’autenticità del cristianesimo attraverso il superamento del «papismo»; si radica nella piccola nobiltà di campagna, la gentry).
Le aspre rivendicazioni delle minoranze religiose si intensificano e per il sovrano diviene sempre più difficoltoso contenerle. Nel 1605 i cattolici progettano un vero e proprio attentato ai danni del Parlamento, la congiura delle polveri, con l’obiettivo di assassinare lo stesso sovrano Giacomo I ritenuto responsabile dell’intolleranza religiosa del regno e delle persecuzioni dei cattolici. Il piano è far esplodere la Camera dei lord durante la cerimonia di apertura del Parlamento, per uccidere il re e il suo governo. Una lettera misteriosa rivela il complotto, che viene sventato prima di essere messo a punto.
Carlo I
Seguendo le orme del padre Giacomo I, Carlo I (sovrano dal 1625) intensifica l’impronta assolutistica del regno, coinvolgendo sempre meno il Parlamento nell’attività di governo e peggiorando le tensioni, già gravi. I contrasti maggiori riguardano le questioni finanziarie, dal momento che Carlo, consapevole della tendenza parlamentare a rifiutare ogni forma stabile di imposta fondiaria, aumenta il prelievo fiscale senza preoccuparsi di consultare il Parlamento come da consuetudine.
Più in generale, Carlo I smette di convocare regolarmente l’assemblea parlamentare e, piuttosto, imita il modello di governo spagnolo delegando ampio potere decisionale a ministri di sua fiducia (il conte di Strafford Thomas Wentworth e l’arcivescovo di Canterbury William Laud).
L’arbitrarietà con cui il sovrano raccoglie i fondi per finanziare la guerra dei Trent’anni (prestiti forzati senza l’approvazione dell’assemblea parlamentare) oltre che la dichiarazione della legge marziale in gran parte del paese, spinge il Parlamento a ribadire le garanzie costituzionali con la Petition of rights (1629), con cui si dichiara illegittimo:
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aumentare la pressione fiscale senza il consenso del Parlamento;
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violare i diritti della persona (fin’ora, il sovrano ha disposto il carcere per chi si è rifiutato di pagare le imposte oppure si è rifiutato di ospitare i soldati nella propria abitazione);
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imporre la legge marziale in tempo di pace.
Carlo I affronta il disordine scozzese in materia religiosa (sacerdoti non adeguatamente formati e cerimoniali caotici e differenti tra loro): cerca di imporre l’organizzazione ecclesiastica anglicana, ma incontra le gravi resistenze che conducono alla Guerra dei vescovi (1639). La spedizione in Scozia si rivela molto difficoltosa e provoca un tale scompenso finanziario da spingere il re a riunire il Parlamento per recuperare altro denaro ed evitare la disfatta. Il Parlamento, convocato nell’aprile del 1640, viene sciolto appena tre settimane dopo per aver mosso una serie di accuse contro la gestione assolutistica del sovrano, e passa alla Storia come Parlamento corto.
Il susseguirsi di sconfitte sul campo di battaglia costringe il sovrano a convocare dopo secoli il consiglio che raccoglie i pari del regno e poi nuovamente il Parlamento, che si afferma come assemblea stabile e si riunisce regolarmente per tredici anni (1640-1653). Il cosiddetto Parlamento lungo lavora sin da subito per ridimensionare le aspirazioni assolutistiche del re, e nel giro di poco tempo:
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al monarca viene negato il diritto di sciogliere il Parlamento;
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vengono soppressi i tribunali sottoposti all’influenza del re;
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i fedelissimi del sovrano vengono giustiziati;
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le imposte degli ultimi decenni vengono rese illegali;
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le misure religiose attuali vengono annullate.
Il generale clima di tensione nel paese, frammentato tra sostenitori del re (perlopiù concentrati nell’area settentrionale) e sostenitori del Parlamento, viene aggravata dalla percezione che la moglie cattolica del re possa esercitare un’influenza sulle scelte religiose del sovrano e determinare una forte pressione cattolica sul regno. Anche per questo le comunità di puritani (in particolare concentrate nell’area sud-orientale) si schierano risolutamente a sostegno del Parlamento e pretendono la redistribuzione dei poteri a favore dell’assemblea.
Nel 1641 le comunità cattoliche irlandesi insorgono; il Parlamento vuole reprimere la rivolta con la forza e ottenere il comando dell’esercito, di fatto sottraendolo al re, che reagisce presentandosi all’assemblea con armati al seguito. Il braccio di ferro tra monarca e Parlamento, la frammentazione nazionale che vede i sostenitori dell’uno avversare quelli dell’altro, e le tensioni tra puritani e cattolici che vanno a sommarsi a tutto ciò, sfociano nel 1642 nella guerra civile passata alla Storia come prima rivoluzione inglese (1642-1651).