Le origini del monachesimo in Occidente
Dagli eremiti ai monaci comunitari
Nel II secolo in Oriente nasce il fenomeno del monachesimo. Dapprima alcuni monaci decidono di vivere da soli come eremiti nei deserti siriani ed egiziani, dedicandosi esclusivamente alla preghiera, al digiuno e alla penitenza. Dal IV secolo i monaci iniziano a riunirsi in comunità e vivono insieme nei monasteri seguendo delle norme condivise, la «regola». Inizialmente ciascun monastero ha la propria, anche se tutte condividono alcuni principi fondamentali, quali la preghiera come principale attività e i voti di povertà, castità e obbedienza all’abate.
Nel corso del Trecento il fenomeno si diffonde anche in Occidente, prevalentemente nella forma comunitaria. Tra le comunità più note ricordiamo quella fondata da Benedetto da Norcia intorno al 529 a Montecassino. Secondo la regola benedettina la vita monastica deve riservare parte della giornata alla preghiera e parte al lavoro manuale: «ora et labora» ovvero «prega e lavora»; presto questa viene adottata in molti monasteri di tutta Europa. L’attività lavorativa prevista dalla regola di San Benedetto trasforma i monasteri in centri di produzione artigianale e li apre ai rapporti con la società. I monasteri iniziano ad avere un ruolo economico di rilievo e, presto, anche politico, in quanto gli abati finiscono per sostituire le istituzioni pubbliche ormai in declino nell’organizzazione della vita sociale.
I monasteri sono anche luoghi della cultura per eccellenza; per tutto il Medioevo i monaci sono pressoché gli unici a saper leggere e scrivere, a conoscere il latino e a custodire il patrimonio del sapere. Per questo il clero mantiene un vero e proprio monopolio sulla cultura per secoli: le uniche scuole o biblioteche sorgono nei monasteri o nelle cattedrali e tutti i libri sono scritti da chierici. Naturalmente questo consente alla Chiesa di orientare il mondo della cultura. Le discipline religiose sono privilegiate a discapito di quelle scientifiche e alcuni generi letterari (poesia, epica, teatro) vengono accantonati a favore di altri, primo tra tutti quello agiografico (vite dei santi).
La quotidianità monastica
La vita nelle comunità monastiche d’origine è scandita innanzitutto dalla preghiera, che riunisce i monaci otto volte al giorno al richiamo della campana. La prima preghiera della giornata, il «mattutino», viene recitata all’incirca verso le due di notte; seguono le «lodi» verso le cinque e, dopo colazione, verso le sei, segue un’altra preghiera.
Dal momento che il monastero non è solo un centro di spiritualità, ma anche un nucleo produttivo e culturale, l’intera giornata viene dedicata da ciascun monaco all’attività lavorativa che gli compete, con le opportune pause di preghiera, verso le nove del mattino, all’ora di pranzo, intorno alle tre e alle sei per la recita delle preghiere del tramonto, i «vespri». La comunità si raduna anche per la cena, seguita dalla preghiera di fine giornata, la «compieta». Conclusa la giornata, verso le dieci ciascun monaco si reca nella propria cella per riposare.
Come accennato, oltre che all’«ora et labora», il monastero si dedica anche alla cultura. Se ciascuna comunità è un «microcosmo autonomo», come definito da Le Goff, i suoi membri devono occuparsi di provvedere, oltre che a tutte le necessità quotidiane, anche di redigere i testi religiosi indispensabili per la preghiera. Sono i monaci amanuensi nei loro laboratori, gli scriptoria, a preoccuparsi di ricopiare i volumi conservati nella biblioteca. I più prestigiosi, poi, vengono persino impreziositi con meravigliose miniature che rendono le opere dei capolavori artistici esemplari dello stile medievale.