La Grecia dei «secoli bui»: il Medioevo ellenico

La Grecia dei «secoli bui»: il Medioevo ellenico

Il crollo della civiltà micenea: dal calo demografico al decadimento culturale

Il crollo della civiltà micenea intorno al 1200 a.C stravolge il volto della Grecia. Le varie regioni tendono a differenziarsi e viene superata l’omogeneità che ha contraddistinto il mondo miceneo; questo fenomeno è senz’altro favorito sia dalla conformazione geografica della penisola, ricca di rilievi montuosi invalicabili, che dall’assenza di un’autorità centrale stabile. Si verifica un calo demografico e la popolazione tende a raggrupparsi in villaggi di piccole dimensioni e piccole cittadine, delle quali nessuna raggiunge l’egemonia sulle altre. Ma soprattutto si assiste a un significativo decadimento culturale e per secoli (XII-IX secolo a.C.) i Greci non si servono più della scrittura.

Nonostante sia evidente la tendenza regressiva che segna la cultura greca, oltre che la sua economia e la sua amministrazione - che non potendo più contare sugli scribi e rivelandosi di fatto superflua per comunità così piccole, scompare - tanto da definire questa epoca Medioevo ellenico o età scura della Grecia, è proprio in questi secoli che si delinea un’organizzazione sociale del tutto originale, la «culla» del cittadino e della democrazia: la polis o città-stato.

La civiltà dei poemi omerici: la polis, l’economia

I poemi omerici ci aprono un interessante squarcio sulla vita sociale e politica del Medioevo ellenico. Infatti, se i personaggi e gli accadimenti dei racconti sono immaginari, il complesso di canti tramandati oralmente che sono finiti per comporre l’Iliade e l’Odissea sono in grado di restituirci una visione piuttosto realistica delle dinamiche sociali, dell’organizzazione e dell’etica del tempo. Come in tutte le società orali, a questi poemi non era affidato il solo scopo di intrattenimento ma anche quello educativo. Così, attraverso la poesia le nuove generazioni apprendevano i valori e le virtù apprezzate dalla società e le norme di comportamento a cui attenersi.

La società descritta da Omero, quella della polis, riconosce tra i suoi principali valori quello dell’autonomia. È priva di gerarchie e suddivisa in tribù e fratrie con funzioni di organizzazione territoriale e militare. Alcune poleis si associano in koinà, federazioni di città-stato con funzioni diplomatiche, di difesa ed economiche (tra le più famose, la lega ionica). Esistono anche delle leghe di poleis su base religiosa, le anfizionie, che condividono il culto di una divinità celebrandone insieme la ricorrenza (tra le più famose, la lega di Delfi in onore di Apollo e Demetra).

L’economia si struttura sull’ideale autarchico, che mira a produrre a sufficienza per soddisfare il fabbisogno alimentare in autonomia, anche se vengono praticati scambi commerciali attraverso il baratto ed esistono luoghi preposti alla vendita dei prodotti, gli emporia, ovvero i mercati. L’attività produttiva principale è senz’altro l’agricoltura, praticata dai teti (ovvero i lavoratori stagionali, uomini liberi e salariati), dai non liberi (acquistati al mercato o prigionieri di guerra) e dalla servitù rurale (composta dalle intere popolazioni straniere sottomesse). Vengono praticati anche allevamento per procacciare carne, il cibo prediletto dagli eroi, e artigianato per la produzione di manufatti, ma non si tratta di attività prestigiose. Lo sono invece i mestieri che richiedono abilità particolari e sono per lo più ereditari, come le professioni di medico, araldo, aedo, vate e anche carpentiere.

La civiltà dei poemi omerici: l’aristocrazia e la «cultura della vergogna»

Grazie agli studi di archeologia funeraria sappiamo che durante il Medioevo ellenico inizia a emergere il ceto aristocratico, che si compone di aristees (ovvero i «migliori») e di basilees (ovvero capi per eccellenza e consiglieri), e i poemi omerici ne delineano i tratti. Si tratta dei privilegiati per nascita: belli, ricchi e dotati di virtù, che gli dei amano e proteggono; è a loro che spetta il gheras ovvero la «parte migliore del bottino» ed è tra loro che si distingue il primus inter pares, a cui Zeus stesso conferisce lo scettro. La preminenza della classe aristocratica esercita una spinta significativa verso la costituzione di repubbliche aristocratiche e il superamento del modello monarchico precedente.

Quella omerica è la società della competizione, in cui ciascun uomo è chiamato a dimostrare con il coraggio e la forza fisica il proprio timé, ovvero il proprio onore. Il bene supremo per un uomo consiste nel godere della pubblica stima e il comportamento deve essere orientato in primo luogo ad attirare l’approvazione della società, e non certo assecondare aspirazioni e desideri personali. È l’opinione pubblica, la «voce» del popolo, che tiene le redini del controllo sociale, e la più dura delle punizioni è la perdita della buona reputazione, perciò gli antropologi definiscono quella omerica una «cultura della vergogna». Per aggirare la sanzione sociale è necessario attenersi al modello di uomo proposto, non infrangere i divieti e non aggirare gli obblighi, alcuni dei quali molto distanti dall’ideale etico attuale. Per esempio, nella Grecia omerica rispondere all’offesa con la vendetta non è socialmente accettato, ma socialmente richiesto: si tratta di un dovere, e sottrarsene significa perdere l’onore.