Se Vittorio Emanuele III non fosse stato ricattato per l'omossessualità dell'erede al trono Umberto...
Se Vittorio Emanuele III non fosse stato ricattato per l’omosessualità dell’erede al trono Umberto, avrebbe sostenuto Mussolini così a lungo?
Nonostante il Codice Zanardelli (1889) avesse escluso la sodomia dai crimini penali, pressoché nella totalità della società italiana di inizio Novecento permaneva una certa ostilità – quantomeno culturale – nei confronti dell’omosessualità. Verosimilmente sarebbe stato vasto il consenso al ripristino delle sanzioni nei confronti degli omosessuali che erano state previste nel progetto iniziale del Codice Rocco, il nuovo codice penale fascista che sostituì il Codice Zanardelli nel 1930, ma alla fine questo non aveva neanche fatto menzione del fenomeno, e per un preciso motivo: non riconoscerne l’esistenza.
Se il Duce dichiarava che quello italiano era un «popolo troppo virile» per avere questo «tipico vizio inglese o tedesco», durante il suo regime erano aumentati i controlli e le persecuzioni, gli arresti e le deportazioni al confino, i sequestri e le confische dei beni nei confronti degli omosessuali o presunti tali, in adempimento al decreto regio 773 per il rispetto del buon costume (1931).
Sin dalla fondazione del Partito fascista, Mussolini fu affiancato da efficientissimi apparati di polizia politica segreta: all’esordio la Ceka, su ispirazione della polizia russa, e dal 1926 l’OVRA, e queste rivestirono un ruolo nientemeno che fondamentale nel mantenimento del potere da parte dei fascisti. L’OVRA doveva «sapere tutto di tutti», e suscita una certa impressione constatare quanto fosse in grado di portare eccellentemente a termine questo compito. Le sue spie avevano un preciso incarico: scoprire i segreti, e lo facevano pedinando, osservando, ascoltando le loro vittime, e quando opportuno estorcendo informazioni con torture e minacce. Venivano assoldate sempre nuove spie, e non necessariamente con le buone maniere, così da espandere progressivamente la struttura dell’organizzazione e raggiungere una copertura capillare, pressoché totale, di controllo del territorio nazionale.
Tra i tanti dossier di fuoco a finire nelle mani del Duce spiccava senza dubbio quello sul giovane Umberto di Savoia, figlio del re Vittorio Emanuele e nientemeno che erede al trono, in cui erano state raccolte lettere e poesie autografe, testimonianze, verbali di interrogatori e svariati documenti atti a «comprovarne l’invertimento sessuale», come dichiarato nel fascicolo. Oggi è difficile intuire il valore ricattatorio di queste informazioni, ma se all’epoca fossero emerse pubblicamente avrebbero totalmente delegittimato, distrutto la famiglia regnante: probabilmente sarebbe stata destinata all’esilio e alla confisca dei beni.
Si ricordi che – almeno formalmente – Mussolini non ricoprì mai la più importante carica dello Stato (a differenza per esempio di Hitler, che assunse ufficialmente la carica di Capo dello Stato) e che l’appoggio politico del re fu fondamentale per il mantenimento del suo potere, nel rispetto delle norme istituzionali. In quest’ottica si può cogliere la determinante rilevanza politica che rivestì il dossier sugli amori di Umberto, talmente prezioso da essere conservato personalmente dal Duce in ogni suo spostamento fino a Dongo, spiegando – almeno in parte – l’atteggiamento indeciso ed esitante, talvolta controverso, che Vittorio Emanuele e poi lo stesso «re di maggio» assunsero di fronte alle più importanti scelte politiche.
Quale sarebbe stato il rapporto tra Vittorio Emanuele e Mussolini se il dossier non fosse mai esistito o semplicemente fosse andato perduto? Il re avrebbe continuato a sostenere il governo Mussolini anche dopo la svolta autoritaria? Quale sarebbe stato l’atteggiamento di Vittorio Emanuele libero da ricatti di fronte all’avvicinamento alla Germania nazista, alle Leggi Razziali in Italia e infine all’entrata in guerra con le forze dell’Asse?